Presentazione

 

Ho voluto titolare questo contenitore con il termine "Diario". Sulla rete oggi troviamo varie forme di diario. Quelli più diffusi sono i blog personali nei quali ognuno prova a parlare di se stesso, del suo modo di guardare gli avvenimenti del mondo, dei suoi progetti cercando di condividere o quantomeno far conoscere i propri pensieri al maggior numero di persone. Un diario si distingue dall'autobiografia e dalla cronaca, perché ha la funzione di annotare appunti da tenere a mente e di registrare eventi di vario genere per migliorare o perfezionare qualcosa. Nel diario è messa in evidenza la data che serve a scandire i tempi per ricordare a quando si riferisce l'evento descritto. In esso oltre al testo, possono essere mostrate immagini e, oggi, in quelli affidati all'informatica, possono comparire anche oggetti multimediali quali musica e filmati. Le tipologie di diario possono essere diverse: quello di bordo, quello intimo, quello di viaggio, il diario di guerra, ecc. e sono tanti i diari famosi pubblicati nei decenni passati. Per esempio quello di Anna Frank che ha commosso il mondo, quelli di Ernesto Che Guevara, quelli di scrittori importanti come Stendhal, Lev Tolstoj e tanti altri. Chiarito questo, cioè il perché e il significato del titolo di questo quaderno, desidero aggiungere un concetto importante: i fatti presentati all'interno di queste pagine, come si usa in RCR, saranno contestualizzati in un’unica "location": il nostro paese. E', dei fatti, delle vicissitudini del nostro popolo che si intende parlare. Guardare insieme il presente, intravedere il futuro senza trascurare il passato, ci aiuterà a fare meglio. Tutto sarà più efficace e avrà un senso, se ci sarà la collaborazione di quanti, condividendo l'idea, vorranno dare un personale contributo.

Buona lettura.
Stefano Fragasso

Nevicata

1 gennaio 2015

Ieri 31 dicembre 2014, ultimo giorno dell'anno. È arrivata la neve! È arrivata davvero in silenzio, un silenzio nuovo, sconosciuto a tanti cittadini, quelli più giovani, che non possono ricordare le frequenti e abbondanti nevicate di alcuni decenni fa. I primi fiocchi sonno arrivati di sera, timidamente, ad intermittenza, come avevano annunciato le previsioni meteo.


Poi la neve è cominciata a scendere fitta ed è tornata alla mente l'antica filastrocca: «Hiocche a pile de cane, quanta neve vole fa'. » Difatti, nel giro di qualche ora, l'aria è diventata di ovatta. I tocchi dell'orologio della torre campanaria sono diventati esili, sempre più impercettibili nella valle. E quando la neve si è posata abbondante, il suono è diventato sordo, di coccio, chiaro segnale che, alle prime luci del mattino, fa ancora saltare dal letto piccoli e grandi per guardare, fuori, al di là dei vetri, il candido manto di neve. A Roseto, ogni anno è così. A Natale, prima o poi fiocca. A volte di più, a volte di meno. Quando ciò non accade, si va con la mente ai disastri del clima mutato e diventa più forte l'idea che da noi è proprio tutto finito. Fortunatamente, quest'anno, nulla di tutto questo. Si è riaccesa la speranza. Finalmente la neve è arrivata abbondante. Noi, diciamolo, siamo più contenti, perché così il nostro paese sembra proprio uguale a quello di prima. Le strade nella tormenta, hanno lasciato passare solo il sibilo del vento. Quando la neve si farà di nuovo attendere, probabilmente sarà questa la classica immagine che useremo per raccontare la bella nevicata di fine 2014. Chissà se qualche nonna avrà ripetuto ai suoi nipoti il solito racconto, lo stesso ripetuto dai nostri nonni e, chissà, forse, anche dai nostri bisnonni: « Core de nonne, prima, tanti anni fa, fioccava proprio così. Anzi molto di più. Allora non c'era il conforto delle cose di oggi. Allora c'era solo il focolare attorno al quale si faceva tutto: si cucinava, si mangiava, si parlava, si raccontavano i bei racconti, si pregava. »
Oggi, il primo di gennaio del 2015, è già tornato il sole. La temperatura è in salita e sulle strade la neve si è già sciolta col sale abbondantemente sparso dai mezzi antineve. Il paese torna pian piano alla vita normale. Lunedì prossimo ci sarà un nuovo peggioramento. Tornerà la neve?

 

"Diario"di Stefano Fragasso

Oggi è Natale

25 dicembre 2014

Voglio guardare il Natale per un attimo come se non fossi io, voglio guardarlo con gli occhi freddi di chi si accorge presto del suo arrivo, già a fine ottobre, quando nei mercati spuntano, come funghi controtempo , le scatole di panettoni con i disegni di stelle, di babbi natale e fiocchi di neve. Da un po' di anni, di neve, quella abbondante, non ne sente parlare: il tempo pare voglia accontentare chi, più che il Natale, sogna un viaggio alle Bahamas.

Voglio guardarlo così il Natale, e non è difficile farlo, voglio guardarlo come quei tanti che nulla sanno o vogliono sapere della festa, che, già dai primi di dicembre, stufi di luci colorate, di vetrine coi rami cinesi di pungitopo dalle bacche di plastica rossa, va col pensiero oltre, al gran cenone di fine anno e ai botti di mezzanotte.


Le case non hanno più camini per accogliere, col loro generoso calore, le famiglie di oggi per far rivivere la gioia dei Natali passati, del Natale che si ripete ogni anno. Sui tetti delle nostre case sono numerosi i fumaioli cadenti, arrugginiti, che non danno più fumo. In tante case regna il freddo e l'abbandono. Ed anche lì, dove c'è il pellet o altra fonte di caldo, non c'è più, in questi giorni, quell'aria festosa che arricchiva lo spirito, fatta di povere cose che intenerivano l'anima. Quell'aria, oggi, è introvabile tra le novità da mercato proposte ed imposte in TV.

Voglio provare il piacere dell'effimero che viene dalle mille cose comprate e dimenticate, perché, finita la festa, non piacciono più. La mania del superfluo è come quella del gioco d'azzardo. Non si compra per necessità, si compra per il piacere di comprare. Per aprire, come si usa la mattina della festa, i regali dell'albero.

Questo Natale finisce così, come quello dello scorso anno, come quello prossimo che verrà. Nel riporre le statuette del presepe, ridotte a cinque, anche quest'anno l'ultimo a finire nella scatola sarà il bambinello i cui occhi, ancora una volta, sembrano fissare dolcemente i miei per dirmi: «Ti aspetto qui. Il prossimo anno, voglio fare con te un Natale diverso, un Natale più bello. »

 

 

"Diario"di Stefano Fragasso

Amministrare è bello

23 ottobre 2014

Amministrare è bello? Sì, solo se lo si fa con ....
C'è chi fa il muratore, c'è chi fa il barbiere o l'architetto, c'è chi fa il ragioniere, c'è chi fa l'impiegato, c'è chi... e c'è chi fa il politico, l'amministratore, il sindaco. Bella questa! Un mestiere quindi? Una professione? Fare il sindaco, l'amministratore significa fare un lavoro come tanti altri? Boh! "Io non credo", dice l'onorevole Razzi, imitato da Crozza.
Pensiero tristissimo espresso assai spesso, in forma implicita o esplicita, dalla maggioranza dei politici, qualche volta anche nei pubblici comizi, senza riflettere sulle parole dette con la sfrontatezza di chi non teme nessuno. Un lavoro come tanti, quindi, retribuito, perché ogni lavoro merita la giusta remunerazione. Anzi, come essi dicono, questo lavoro, essendo un lavoro rischioso, di responsabilità e un po' precario, che può finire da un momento all'altro in maniera improvvisa, inaspettata e anche drammatica, vedi i numerosi politici indagati e condannati in questi ultimi anni, merita di più.
Che tristezza!



Eppure, amministrare non è solo bello. Amministrare una comunità è addirittura entusiasmante se lo si fa con totale spirito di servizio, senza cioè dimenticare il nobile senso di quel mandato. Il sindaco e gli altri eletti, sono solo e soltanto dei semplici rappresentanti del popolo, dal quale hanno ricevuto l'incarico di amministrare, con scrupolo ed onestà, le cose comuni. Niente di più.
E invece? Molto spesso, volti candidi, ben curati, ben vestiti, dall'apparenza onesta, nascondono una indescrivibile avidità di potere e di denaro.
Anni fa, in una delle tante elezioni amministrative, furono elette due carissime amiche.  Dopo lo spoglio delle schede, i loro occhi sprigionavano la stessa felicità di due adolescenti che ricevono  in dono un cosa importante. Mi chiesero in prestito qualche libro di La Pira. I nostri incontri si trasformarono in dibattiti accesi di carattere politico. Gli argomenti trattavano solo e soltanto l'arte del corretto amministrare. Era chiara, anzi chiarissima la loro buona volontà. L'entusiasmo di chi, ignaro delle perverse strategie che si nascondono dietro l'apparente correttezza dei politici di professione, offre la sua ingenuità in pasto a famelici lupi. Presto quell'entusiasmo solare cedette il posto ad un pacato ottimismo. Nel giro di pochi mesi cessò ogni nostro dibattito e, con la restituzione dei libri prestati, si concluse la loro breve esperienza amministrativa.
Amministrare è bello, ma difficile, molto difficile.

 

"Diario"di Stefano Fragasso

I giorni diversi

10 settembre 2014

Finita l'estate, ciò che notiamo di più, passeggiando per le strade del nostro paese, è il senso di vuoto che aleggia nell'aria. Molte le case chiuse. La piazza, il nostro bel salotto, ė senza gente. Solo un gruppetto di uomini negli angoli riparati dal vento e uno strano silenzio, in lotta con il fastidioso andirivieni di macchine: sempre le stesse! Si sente molto la mancanza dei ragazzi, futuro e speranza di questo paese. Mancano gli schiamazzi con cui accompagnavano i loro giochi. L'assenza di quelle voci festose, che allietavano l'aria è infastidivano i vecchi, fa intravedere un futuro non proprio felice per la nostra comunità.



A proposito di ragazzi: quei pochi che vivono a Roseto cosa fanno, quali i luoghi per stare insieme, per socializzare?  È una domanda che mi pongo spesso, forse perché non vivo a Roseto tutto l'anno. Nei mesi caldi, li si vede davanti ai bar o ai Paduli, luogo ideale per fare sport e incontri tra coetanei. E negli altri mesi? Ci sarà un luogo nel quale si svolgono attività formative? Chi va incontro ai pochi adolescenti rimasti per raccogliere le loro richieste di aiuto. Spesso, a quell'età, si ha bisogno di essere ascoltati, di essere consigliati, di essere rassicurati, aiutati nella ricerca di risposte ai loro numerosi perché. Quali i loro modelli? Quali le loro ambizioni?
La società odierna offre cose nuove alle attuali generazioni per occupare il tempo: computer, playstation, smartphone, tablet. Essi vivono la solitudine di un mondo silenzioso e misterioso, senza interferenze. Le loro intime emozioni non arrivano al di qua, nella nostra dimensione. Impossibilitati e incapaci di cogliere il loro stato d'animo, timorosi e confusi, i genitori, confidano nell'opera innovativa dei cibernetici maestri, perché convinti che i consigli efficaci per i loro figli, arrivano ormai solo dalla rete.
I tempi cambiano! I tempi sono cambiati ....
Come erano diversi i nostri giorni, le nostre settimane, i nostri anni. Erano giorni, settimane, anni veri. Oggi non è più così. Il termine "virtuale", ad esempio, oggi tanto diffuso e usato, a noi era del tutto sconosciuto. Il nostro mondo era uguale a quello dei nostri genitori, dei nostri maestri. Essi, degni di ogni rispetto, erano i capitani della nostra nave. Ci hanno indicato la rotta aiutandoci a prendere il largo. Ci hanno lasciato in eredità un numero infinito di dati per ben orientarci nel difficile cammino della vita. Chi ci ha preceduto ci ha insegnato ad amare i luoghi dell'infanzia  e della nostra giovinezza, le nostre radici. Ecco perché  le case disabitate, la piazza deserta, le chiese aperte a turno, le vie, luoghi di passaggio di stupende figure umane, le strade desolate, le fontane chiuse e il vento che rompe il silenzio della sera, danno ritmo ai battiti del nostro cuore..
Siamo noi anziani i più fortunati?

 

"Diario"di Stefano Fragasso

Evviva San Filippo

26 maggio 2014

Evviva San Filippo, Filippo di Roseto, Roseto Valfortore, e chi lo creò. Questa la canzone cantata ancora, nel mese di maggio, dai bambini rosetani, attorno alle loro cappelline. Non si odono più le filastrocche con le quali i bimbi, spinti dai genitori, pregavano il Santo di non far piovere quando sul cielo di Foiano comparivano le prime nuvole nere: San Fulippe mije, ne fa' mmenì a chi chijove, o ho!
Da molti anni, per motivi di lavoro, non presenziavo alla festa del nostro patrono. Questa festa è come quella di Sant'Antonio Abate, il più delle volte arriva in un giorno feriale, per cui molta gente che lavora fuori o vive altrove, non può essere presente. Quest'anno sono stato fortunato, ho potuto seguire le varie cerimonie religiose in chiesa, compreso la processione per le vie del paese. Ho immortalato le immagini del pane, del formaggio, dei frutti degli orti fatti piovere dal balcone della chiesa del Santo e della fontana dalla quale sgorga acqua, vino e latte, simboli di abbondanza. Una cerimonia singolare con la quale si chiede a San Filippo, un aiuto speciale per tutta la comunità rosetana. Con preghiere, con gesti e con canti, al nostro Santo, chiediamo di tutto, persino di liberarci dai pericoli del terremoto. E, di fatti, nei vari secoli di devozione, non abbiamo subito mai gravi danni da questi eventi.
Molte scene lontane sono tornate nella mia mente.  Mi è capitato, durante la festa, di osservare cose che non avevo mai notato prima. Ultimamente mi capita piuttosto spesso di beccare particolari importanti nelle cose che mi passano davanti, spesso delle vere e proprie scoperte. Per esempio, mi ha molto colpito durante la processione, il cuscino di rose su cui poggia il busto d'argento di San Filippo. Un cuscino composto da centinaia di rose profumate, diverse da quelle che solitamente adornano gli altari delle chiese. Queste ultime sono troppo perfette e, soprattutto, poco profumate.
Quel cuscino così ricco, così fresco e colorato, mi ha fatto pensare. E allora ho chiesto alla persona più vicina: ma quelle rose da dove arrivano?  "Da Roseto, tutte da Roseto!" mi è stato risposto. Ho capito, è una vecchia tradizione. Le rose di Roseto, quelle profumate e antiche, in omaggio al Santo Patrono tanto amato dai nostri avi, dovrebbero rappresentare l'affetto e la devozione di ognuno di noi. Però, quanta sensibilità nell'animo dei nostri antenati! ...

 

"Diario"di Stefano Fragasso

L’ora dell’Ave Maria

23 maggio 2014

Che bello il mese di maggio a Roseto. Che bell'usanza quella di portare in giro, di sera, la bella statua di Maria, a visitare e benedire angoli e vie del nostro paese. E una tradizione che continua e si aggancia a quella ormai lontana della nostra infanzia. Ci riporta alle passeggiate oranti verso la chiesa di San Rocco o al profumo delle robinie che crescevano imponenti attorno alla casa e impregnavano, con i canti e le preghiere Mariane, la cappella della nostra Frassati.
Quel gruppo di gente in preghiera nell’ora dell’Ave Maria, fa riaffiorare alla mente i bellissimi versi con i quali Lord Byron evocava la mistica suggestione dell’Angelus serale:

Canto del giorno morente (Byron)
Ave Maria! Sulla terra e sul mare
quest’ora più d’ogni altra celeste
è la più degna di te, Benedetta.

Ave Maria! Benedetta quest’ora,
Benedetto il giorno, il paese, il luogo
dove tante volte ho sentito in pienezza
questo annuncio scendere in terra
dalla campana della torre lontana.
Saliva leggero il canto del giorno morente;
non un soffio turbava l’aria tinta di rosa,
eppure le foglie sui rami trasalivano
vibrando in fremiti di preghiera.
Ave Maria! È l’ora di pregare.
Ave Maria! È l’ora di amare.
Ave Maria! È l’ora che il nostro spirito
si elevi fino a te, fino al tuo Figlio!
Ave Maria! Volto stupendo, occhi socchiusi
sotto l’ala della Colomba onnipotente!
Ti miro adesso in un’immagine dipinta?
Ma essa traduce in bellezza la Pura Verità.

 

"Diario" di Stefano Fragasso

La politica: pensiero stupendo!

20 maggio 2014

Siamo alle solite: si vota. Già da parecchio, sui media, si parla di elezioni. Si vota per il Parlamento europeo, ma, in alcuni comuni, anche per le regionali e le amministrative. In giro abbondano locandine, volantini, bandiere e manifesti con volti più o meno noti. In tv, ovunque c'è gente che parla, parla per chiedere voti. "Vota Antonio, vota Antonio" gridava Totò dal suo balcone, tediando i vicini di casa. Così è oggi e così sarà in futuro. È un periodo particolare questo, identico a quello dello scorso anno, di cinque, dieci, 100 e più anni fa. Ho difficoltà a definirlo. È un momento di euforia generale. Anche i più scettici e demotivati, vengono catturati dagli attori del grande teatro della politica nel quale vanno in scena a tutte le ore, spettacoli tutti uguali. Si arriva al giorno del voto, confusi e smarriti, amareggiati e coscienti che nulla cambierà. Di fatti, le luci dei set si spengono un attimo dopo gli exit poll più attendibili senza l’eco degli applausi speranzosi di tanta gente dagli occhi incantati. Tutto finisce in un baleno e si torna al quotidiano dimenticando rapidamente le bugie ascoltate. Un po' più a lungo resta il clamore dei vincitori festanti e il sollievo spavaldo degli eletti.

Quante promesse, quanta falsità!


STRASBURGO-PARLAMENTO-EUROPEO

La politica … Quante volte siamo andati alla ricerca affannosa del significato vero di questo termine. Cinquant'anni fa, nei libri di scuola ne avevamo scoperto l'etimologia e fugato ogni dubbio. Col tempo, un po' per ragioni sociali e culturali, un po' per la maturità acquisita, tale scoperta si è snaturata, come i cibi scaduti. Che tristezza! Allora si è tornati a cercare finendo nelle sabbie mobili. Mi torna spesso nella mente una frase volgare di un famoso mafioso, al quale chiedevano le ragioni che lo avevano spinto a fare la sua scelta. Senza esitare l'uomo rispose: " Perché, comandare è meglio che fo...". Il potere, la smania del comando, di essere superiori agli altri per fare quello che si vuole. Per essere al di sopra di ogni legge ed ottenere tutto, alla faccia di chi si accontenta, fiero della propria onestà. Al diavolo le teorie di Aristotele e di quanti hanno consumato il proprio tempo a cercare. Ma quale arte di governare le società! La frase di quel mafioso sintetizza, in modo esemplare, quanto elegantemente teorizzava Max Weber: " ... La politica non è che aspirazione al potere e monopolio legittimo dell'uso della forza". Non è così? Sì, oggi, più di ieri, è proprio così! Ecco perché tanta insistenza, tanta spregiudicatezza per conquistare una poltrona.
Nel passato, da noi se ne sono viste delle belle, perché il nostro è un paese come gli altri, anche di più. Se quei balconi potessero parlare! ...
Nessun processo, per carità. Tutto passa. È passato persino Andreotti. Se si va indietro di qualche anno, sono pochi quelli che ricordano i volti dei nostri amministratori. Però nessuno potrà cancellare i disastrosi effetti di una cattiva amministrazione su una comunità senza speranza, costretta ad andare via, ridotta ormai a pochi nuclei familiari. Nessuno potrà cancellare l'odio fomentato in una comunità bisognosa di rispetto, stima reciproca, solidarietà, condivisione, collaborazione. Nessuno potrà cancellare i danni al territorio, deturpato da un insediamento selvaggio di torri eoliche. E fermiamoci qui. Ora votiamo per l'Europa, godiamoci gli ultimi spettacoli. Per l'euforia elettorale della nostra piazza c'è ancora tempo, anche se, di notte, gli aspiranti al potere non dormono mai.

 

"Diario" di Stefano Fragasso

La RCR da Papa Francesco

22 marzo 2014

Chi l’avrebbe mai immaginato? La Nostra piccola radio dal Papa! Nella mente di nessuno di quelli che hanno coltivato per decenni questo bellissimo sogno poteva presentarsi un simile evento. Un sogno quello della radio, che va avanti, incurante dei continui risvegli. Ed è toccato proprio a me andare, divenuto ormai così pigro nel fare viaggi e spostamenti, soprattutto quelli che mi procurano ansia e stanchezza. Rinunziare mi sembrava un’ingratitudine nei confronti della fortunata proposta che veniva fatta alla nostra emittente. Avrei gradito la compagnia di qualcuno che continua con me a coltivare questa antica passione, ma non è stato possibile. Allora ho chiesto aiuto a mia figlia, che felice mi ha accontentato. Ed è stato un sogno nel sogno.


Una piccola targa di ringraziamento in dono a Papa Francesco

Un po’ turbolento, come del resto lo è quello della radio, nel quale passano le numerose difficoltà che quotidianamente si presentano. Un sogno che ci ha portato, attraverso i fantastici corridoi dei palazzi vaticani, nella magnifica sala Clementina, nella quale il Santo Padre ci ha accolti con l’affabilità e la simpatia ormai nota a tutti.
Un lungo e dettagliato discorso del presidente dell’Associazione Corallo, sintesi delle infinite avventure delle radio cattoliche, compresa la nostra. E il discorso di Papa Francesco, fatto a braccia e col cuore. Poche parole tese a sottolineare i pericoli da evitare e i danni di un’informazione scorretta. Parole di elogio e di incoraggiamento per continuare con serietà e impegno cristiano a svolgere la nostra attività. Queste parole hanno suscitato in me un’emozione indescrivibile, che vorrei comunicare a quanti hanno contributo alla realizzazione di questo interminabile progetto, certo che nulla è stato fatto invano e nulla andrà perduto di quanto faremo ancora.

 

"Diario" di Stefano Fragasso

Un'idea ce l'avrei

1 marzo 2014

I carabinieri di Roseto hanno da poco ottenuto dal Comune una nuova sede, dopo aver lamento per mesi l’inidoneità dei locali dove alloggiavano. Si è addirittura temuto il loro trasferimento in un altro Comune. E avevano ragione. Un palazzone dalle volte altissime, come si usavano una volta, con delle stanze ampie e dei corridoi immensi; freddissimo d’inverno e poco pratico per ospitare una piccola stazione dell’Arma.
Questo maestoso stabile venne realizzato nell’800 per diventare un ospedale, ma noi lo ricordiamo come il Municipio, come porzione di scuola elementare, come la scuola delle monache, insomma, come una grande struttura brulicante di vita. Quella scalinata ampia, sontuosa, dopo la prima rampa, si sdoppia e permetteva, allora, di raggiungere l'ala riservata alle suore e, a sinistra, gli uffici del Comune. Per quelle scale son saliti, sindaci, amministratori, impiegati, gente comune; centinaia di bambini e decine di ragazze ricamatrici. Contro l’umidità e il freddo, nemici dei nostri carabinieri, nei lunghi giorni invernali, lottava un personaggio da fiaba, zio Antonio Di Munno, il quale tirava fuori da una grande fornace, tizzoni ardenti che versava nei bracieri destinati al Municipio, alle aule scolastiche e alle suore. Noi, ormai avanti negli anni, non ricordiamo il freddo di quei giorni, né le stanze tetre come appaiono oggi. Ricordiamo, invece, il grande cappuccio di suor Batilde, quello di suor Isabella e suor Giuseppina, il riverbero luminoso dei grembiulini bianchi, i semplici fiori di campo che ornavano gli ambienti, il profumo della cucina. L’umile figura di zia Annamaria, nascosta e presente ovunque, le sue carezze, il suo fazzoletto pronto ad asciugare le nostre lacrime.
Oggi, quel vecchio bastione sembra un gigante silenzioso, che guarda i rari passanti. Che ne sarà di lui? Mi piacerebbe, un giorno, visitarlo. Passeggiare a lungo per i suoi corridoi, rivivere in silenzio qualche attimo lontano e magari lanciare uno sguardo nel futuro. Non è poi un palazzo decrepito. A vederlo da fuori non sembra assolutamente malandato, anzi. La facciata è bella, i locali ampi e idonei per ospitare iniziative importanti: io, un’idea ce l’avrei!

"Diario" di Stefano Fragasso

L'amato paese

22 febbraio 2014

L’altro giorno si sono svolti i funerali di Biagio Goduto, amico e mio compagno di scuola. Ha partecipato una gran folla, direi tutto il paese, come succede quando muore un giovane o una persona molto conosciuta ed amata. Struggenti le parole pronunciate dalle figlie, le più strazianti, sussurrate fra i singhiozzi, quelle che stringono, in tutte le occasioni simili, il cuore di ogni padre, ogni madre, ogni presente. Una frase tra le tante mi ha particolarmente commosso, questa: “… papà, sei tornato per sempre al tuo amato paese”. Quel paese amato da tanta gente che è partita spinta dalla necessità, inseguendo il sogno di una vita migliore per sé e per i cari con l’inappagata voglia di tornare.
Come corre veloce la vita e quanto evanescenti sono i nostri sogni! Ma che cos’è questo grande desiderio che assilla tanto in profondità il nostro animo quando ci allontaniamo dal nostro paese? E’ forse un capriccio della ragione o una necessità fisiologica come il respirare, il bere, il mangiare? Tornare alle origini, in quel mondo dove sono fissati i ricordi della nostra età giovane, è come tornare in una dimensione senza tempo. Forse è questa la ragione. A fronte di un tempo che sfugge ad ogni controllo, che evapora sempre più velocemente man mano che si invecchia, c’è l’urgente bisogno di tornare ai lunghi giorni, ai mesi e agli anni eterni.
E’ proprio così. Lo si legge in faccia a chi ritorna ogni anno. Lo si scopre nei versi di Antonietta Basso, che, in una magnifica sintesi, manifesta i sentimenti di chi torna per un po’ nella sua terra:
Boschi di quercioli pioppi pini, natura selvaggia ricca d’armonia e sorprendenti dissonanze. Colline ridenti verdi monti vasti orizzonti vallata, ampio respiro armonioso, platani generosi d’ombra popolate d’ali festose. Acqua cantante di sorgenti canali ruscelli lieve mormoranti fra sassi lucenti, ricchi di linfa alla pioggia allo scioglier delle nevi. Papaveri rossi tra bionde messi. Profumo di ginestre erbe rose in primavera. Aria fresca pulita. Spazio musicale che ispira calma all’anima inquieta.
E io ci aggiungerei: voce gioiosa di ragazzi, corse senza affanno in strade e vicoli nelle sere d’autunno, capelli bianchi e rughe sui vecchi volti di nonni amici, suoni familiari di campane in ogni stagione, profumo del pane nei forni neri di fumo, sorriso di chi ci ha teso la mano per guidare i primi passi del nostro lungo cammino. Questo l’amato paese. Sono qui le radici della nostra esistenza e i ricordi di chi qui è nato, gemme preziose in una miniera grande, tutta da scoprire. "

"Diario" di Stefano Fragasso

I ragazzi di facebook

14 novembre 2013

 14 di novembre 2013, in televisione c’è stata l’ennesima puntata di “Servizio Pubblico” di Michele Santoro. All’inizio, dopo l’introduzione del conduttore, c'è stato il solito servizio che, questa volta, ha descritto la condizione dei nuovi poveri, costretti a chiedere un pasto caldo alla mensa delle associazioni di beneficenza, sempre più numerose, soprattutto nelle grandi città. Sembra di essere tornati indietro di molti anni. E non si sente nell’aria nessun segno di miglioramento, nonostante qualche politico parli di spiragli di luce intravisti in fondo al tunnel. La crisi ha colto un po’ tutti impreparati. Gli anni difficili del dopo guerra, sono stati dimenticati. Non ci sono più superstiti che vissero la crisi del ’29. Le difficoltà di quei giorni si leggono sui libri di storia e si vedono in qualche documentario. I giovani di oggi, che non amano leggere, non conoscono nulla di quanto accaduto allora e poco di quanto sta accadendo. Sanno navigare benissimo tra le pagine di facebook, ma per niente tra le pagine di storia. Se tentiamo di paragonare i problemi economici dell’odierna società con quelli del passato, se tentiamo di spiegare loro che tali problemi, quelli mondiali e nazionali, sono gli stessi che affliggono la nostra piccola comunità, causa dell'inarrestabile impoverimento; se parliamo del rischio che essi corrono, del loro futuro incerto, ci guardano come marziani inebetiti. Muovono gli occhi come per cercare qualcosa nella loro memoria e poi tornano muti su facebook.
Quando prepareranno le valige per andar via, non protesteranno, non potranno farlo, non sapranno il perché di quella partenza. Andranno via in silenzio, con l’unico amico fidato, compagno inseparabile, facebook, fragile strumento di comunicazione. Facebook, inconscio, debole, inutile legame virtuale con le proprie radici.

"Diario" di Stefano Fragasso

I fiori di maggio

20 maggio 2013

«Giungo allora ai campi e ai vasti quartieri della memoria, dove riposano i tesori delle innumerevoli immagini di ogni sorta di cose, ... Quando sono là dentro, evoco tutte le immagini che voglio. Alcune si presentano all’istante, altre si fanno desiderare più a lungo, quasi vengano estratte da ripostigli più segreti.» Descrive così, Agostino d’ Ippona, nelle sue Confessioni, la nostra memoria. Per lui, tutti i ricordi della vita dell’uomo, albergano in un luogo astratto e sconosciuto, nel quale viene costantemente immagazzinato tutto, proprio tutto ciò succede dentro e intorno a lui. Immagini, colori, odori, suoni, i moti della mente e dell’anima. Una infinità di dati richiamabili all’occorrenza in una dimensione senza tempo, in questa nostra mente, i cui misteri permangono, nonostante i progressi delle scienza. Ricordiamo con naturalezza, senza chiederci tanti perché, luoghi e fatti lontani decine di anni. Ne riascoltiamo le voci, rivediamo le scene vive come fosse allora. E basta un evento improvviso, il volto di una persona, una canzone per ricostruire nei minimi particolare ciò che da tempo è sepolto nei meandri dello spirito.

Oggi c’è stato a Roseto il funerale di Salvatore Panebarca, un amico discreto, che i più avanti negli anni han visto crescere in una famiglia nota alla nostra comunità, quella di Antonietta D’Avanzo e Filippo Panebarca che io conoscevo bene. I fiori di maggio e il ricordo di Salvatore, aprono d’improvviso il sipario della mia memoria. Sono le immagini del “Maggio rosetano” e ancora, quelle della “Sacra della primavera”. Risento le voci dei ragazzi d’allora che cantavano al festiva rosetano, le canzoni del festival Sanremo. Rivedo la fila delle persone che premevano per entrare nella sala del cineteatro Marino. Esterina, la presentatrice. I musicisti Gino Romano, Vincenzino Parisi, Franchino il batterista, zio Carlos Falcone, Tony Perna, Filippo Capobianco e i numerosi artisti in erba che, dietro le quinte, attendevano trepidanti il loro turno sul palco addobbato con i fiori di maggio. C’ero anch’io un anno su quel palco, con il mio gruppo di amici: I Cobra. Con noi, a condividerla gioia della vittoria c’era anche Salvatore, intimidito dagli applausi, ma rassicurato dal papà che in sala gli sorrideva come per dirgli: - non ti preoccupare, io sono qua -.
Oggi, come due coetanei, sono tornati insieme.

Dal "Diario" di Stefano Fragasso

Il ragazzo che denunciava i clan

09 maggio 2013

Oggi è il nove del mese di maggio, il mese più bello dell'anno. Tutti i media parlano dei funerali di Andreotti. A tratti parlano anche di Moro. Solo alcuni quotidiani dedicano poche righe a Giuseppe Impastato che 35 anni fa, come oggi, veniva ucciso dalla mafia, nello stesso giorno in cui veniva ucciso dalle brigate rosse Aldo Moro. Mentre leggo un piccolo articolo dedicato a Giuseppe, ascolto in sottofondo la nostra radio che mi arriva via web. Che bella musica! E come si sente bene! Oggi, però, tra tanti bellissimi brani sarebbe stato opportuno ritagliare uno spazio da dedicare a questo giovane di trent'anni, amante della sua terra, animato da una grande voglia di legalità e giustizia, ucciso dalla mafia, da quel potere tanto capace di soffocare il sogno dei giovani e fare di essi uomini senza futuro. Sarebbe stato bello oggi sentire i nostri ragazzi, parlare ad alta voce di legalità, di onestà, di potere corrotto tanto diffuso nella nostra

povera Italia, con la loro solita franchezza, senza temere nulla. I nostri ragazzi che non trovano nei libri di scuola i nomi di Giuseppe Impastato o di tanti altri, spiritualmente uccisi dai numerosi perché rivolti ai professionisti del potere. E noi, a raccontare agli alunni delle nostre scuole, chi era Peppino. Raccontare tutta la sua storia. Dire pure che lui era un comunista che ha saputo affascinare chi non lo era e non lo è. Che ha lasciato proprio ai ragazzi nella sua lungimiranza, un messaggio forte, tutto da scoprire. Lui che da comunista diceva: "... ma che lotta di classe, qui bisogna insegnare alla gente cos'è un paesaggio prima che sia distrutto." Parole che fanno accapponare la pelle qui da noi. Quale paesaggio? Guardiamoci intorno. Mi domando che direbbe Peppino Impastato se fosse qui oggi, nella nostra realtà, negli studi di questa nostra radio, come la sua tanto sognata, costata indicibile impegno, entrambe nata solo per regalare alla gente una speranza nuova, la certezza di un futuro diverso, senza più partenze. Lui, ne sono certo, parlerebbe di lotta, non quella contro qualcuno, ma contro la nostra rassegnazione e la nostra indifferenza, ottimo terreno nel quale nascono e crescono illegalità, incomprensione tra potere e cittadino, ingiustizie, abusi, ladrocini. Non farebbe a meno di parlare del degrado del territorio, e della salvaguardia delle bellezze del creato. Non si stancherebbe di invitare i giovani ad essere protagonisti della loro storia e ribellarsi alle varie forme di ricatto che mortificano e tolgono ogni speranza. Lui sì, tutto questo lo avrebbe detto senza paura.

"Diario" di Stefano Fragasso

 

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