BUONA VISIONE A TUTTI E BUON ASCOLTO DI RCR RADIO CENTRO ROSETO.

 

I FUOCHI DI SANT'ANTONIO A ROSETO

(... nei giorni della pandemia)

di Nicola Chiechi

Con le tante privazioni causate da questa dannata Pandemia, quest'anno non ci è stata data la possibilità di vedere a Roseto la bella e tradizionale festa dei Fuochi di Sant'Antonio Abate, nel mese di gennaio. E così, preso dalla nostalgia, sono andato a rivedere i tanti filmati messi in onda in questi anni dalla locale emittente Radio Centro Roseto (RCR).
Mi sono subito soffermato sull'interessante video in cui Gino Romano, prima della sua scomparsa, su sollecitazione di Stefano Fragasso, racconta la vera storia dell'antica origine dei Fuochi di Sant'Antonio nel bel Borgo Rosetano. Ho appreso così che la festa del Santo, notoriamente conosciuto come protettore degli animali domestici e di solito raffigurato insieme ad un maialino, a Roseto ha antiche tradizioni che si perdono nella notte dei tempi.

 

 

Gino racconta che la statua del Santo giunse a Roseto nel lontano 1881. Furono i suoi antenati, i famosi “Fuochist”, appartenenti appunto alla famiglia Romano, che provvedettero ad acquistarla da un noto scultore napoletano, per la grande devozione che avevano verso il Santo, protettore anche dei pirotecnici e di quanti sono a contatto con il fuoco in generale. Certamente, con la statua a Roseto, la venerazione per il Santo da quel lontano periodo in poi crebbe notevolmente. Stando alle fonti più attendibili, riportate dai ricordi del Monaco La Penna e da don Michele Marcantonio, il popolo devoto rosetano, sin da allora, in occasione della sua festività, si raccoglieva intorno alla statua con le processioni e con i caratteristici fuochi, detti appunto “i Foche de Sant'Antone”.
Ma, come è stato accennato, il culto del Santo a Roseto risale a tempi molto più remoti. Infatti, come riportato da don Michele nel libro “Il Catechismo del Rosetano” (Ed. Catapano, Lucera, 2010, pagg. 108-119), tra le chiese di Roseto, risalenti al periodo 500-600, c'è traccia di una Cappella rurale del 1421 dedicata a Sant'Antonio Abate, sita nella tenuta di Nicola Gizzo (dial. Jacolaizzo). Secondo le credenze popolari, il culto del Santo giunse e si diffuse da noi grazie ai franco-provenzali, perché si riteneva che i fuochi proteggessero dal virus dell’erpete, il c.d. Fuoco di Sant'Antonio, certamente meno dannoso del subdolo Coronavirus, la brutta bestia dei nostri giorni!
Come è noto, negli ultimi tempi la venerazione per il Santo, non solo da noi, ha assunto una dimensione più folkloristica. Infatti, la sera del terzo sabato del mese di gennaio, sono tanti i forestieri che in occasione dei tradizionali fuochi si riversano nel nostro bel Borgo dei Monti Dauni, per ammirare quel caratteristico spettacolo ed assaporare i deliziosi prodotti tipici locali, sicuri di essere accolti da un popolo molto affettuoso ed ospitale.
Ritornando ai video in onda sui social, mi è rimasto impresso il filmato di sabato 20 gennaio 2018. In esso, oltre ad aver rivisto i tanti angoli dove erano stati allestiti altarini, capanne ed altre caratteristiche costruzioni, veri e propri capolavori d'arte in legno, presso i quali poi si sarebbero sprigionati i maestosi falò, ho gioito vedendo intere famiglie intorno a quei fuochi, accorsi da ogni parte per godersi quel meraviglioso spettacolo. Sia i più grandi che i tanti bambini presenti manifestavano tanta gioia ed allegria nel seguire le varie recite in vernacolo, i cui protagonisti erano i ragazzi rosetani. Ma quello che mi ha colpito ancora di più è stato l'aspetto culturale di quella magica serata. Ho ammirato la disinvoltura e la naturalezza con cui ogni ragazzo recitava la sua parte: tutti mi sembravano veramente degni figli della tradizionale arte teatrale rosetana. La bravura di quei fanciulli mi ha davvero commosso e affascinato; avrei voluto stringerli affettuosamente uno per uno, e congratularmi anche con quelli che sono stati gli artefici della loro preparazione e dell’ organizzazione dell'evento.
Allora la mia mente è andata lontano nel tempo. Ho rivisto in quelle immagini le stesse scene, gli stessi protagonisti attori in erba, come quelli lanciati alla ribalta dagli indimenticabili don Nicolino De Renzis e don Michele Marcantonio. Ho rivisto quegli spettacoli organizzati da don Nicolino presso la Casa del Giovine negli anni 60 e 70, e poi quelle manifestazioni presso il Cine-Teatro Marino, con la brillante regia del caro don Michele. Quegli spettacoli attiravano una miriade di persone accorse anche da paesi lontani. Pertanto, ho provato tanto piacere vedendo quelle immagini, convinto che l'eredità culturale ed artistica del popolo rosetano non è andata smarrita, nonostante il progressivo spopolamento del suo territorio.
Sarebbe auspicabile, quindi, che questo patrimonio storico venisse sempre più diffuso e valorizzato, come risorsa per arricchire quel turismo culturale ed enogastronomico, già in atto con le varie sagre paesane verso cui il nostro territorio è particolarmente votato. Non va disatteso al riguardo il fatto che a Roseto ci sarebbero tutti i presupposti per promuovere anche una forma di turismo religioso, alimentato dal particolare culto del popolo rosetano, nonché dalle tante feste e processioni tra cui primeggia quella tradizionale del Venerdì Santo. A tutto ciò potrebbe naturalmente aggiungersi il fatto che Rosa de Luca dei Marchesi di Roseto, la mamma di San Giuseppe Moscati, il Medico Santo napoletano conosciuto in tutto il mondo, è di origini rosetane.